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Trasferirsi all’estero: quali sono le conseguenze fiscali?

Trasferirsi all’estero: quali sono le conseguenze fiscali?

Trasferirsi all’estero: quali sono le conseguenze fiscali?
Diritto e fisco

Il concetto di residenza

Nel nostro ordinamento giuridico esistono varie definizioni di residenza. Sicuramente quella più importante è quello fornita dal Codice Civile: “la residenza è il luogo dove una persona dimora abitualmente”. Altro concetto, spesso associato alla residenza, è quello di domicilio. Secondo il Codice Civile, il domicilio è “il luogo dove una persona ha la sede principale dei propri affari ed interessi”. Il domicilio è, quindi, il luogo in cui una persona svolge principalmente la propria attività lavorativa. Ovviamente può capitare che la residenza e il domicilio coincidano.

La residenza fiscale 

Un’altra definizione importante è quella di residenza fiscale.  Secondo il TUIR, un soggetto è residente fiscalmente in Italia quando “è iscritto presso un’anagrafe del territorio nazionale o hanno nel territorio dello stato il domicilio o la residenza sancita ai sensi del codice civile”.

I soggetti residenti fiscalmente in Italia, sono quelli obbligati a pagare le imposte in Italia.

Chi è tenuto a  pagare le tasse in Italia?

Secondo la definizione di residenza fiscale che abbiamo citato precedentemente ci sono 2 criteri per capire quando una persona deve pagare le tasse in Italia:

  • criterio formale = se un soggetto è iscritto all’anagrafe di uno dei comuni italiani, anche se  ha la residenza e/o il domicilio all’estero.
  • criterio sostanziale = se un soggetto non è iscritto all’anagrafe di uno dei comuni italiani, ma ha residenza e/o domicilio in Italia. In tal caso, è onere dell’amministrazione finanziaria verificare se un soggetto ha residenza o domicilio nel territorio italiano.

Che cosa succede quando una persona trasferisce la propria residenza all’estero?

Il primo step è rappresentato dalla cancellazione dall’anagrafe nazionale ed iscriversi all’AIRE (Anagrafe Italiani residenti all’estero), facendo richiesta all’ex comune di residenza in Italia. Questo passo è necessario per evitare di subire la tassazione italiana anche dopo il trasferimento all’estero. Inoltre l’ex comune di residenza, deve, entro 6 mesi da tale data, comunicare all’Agenzia delle Entrate l’effettiva cessazione della residenza del richiedente nel territorio nazionale. Chi ha richiesto l’iscrizione all’AIRE, sarà poi sottoposto a vigilanza da parte dei comuni e dell’Agenzia delle entrate, al fine di verificare la sua effettiva cessazione della residenza nel territorio nazionale.

Sempre riguardo al trasferimento all’estero, esiste una norma antielusiva secondo la quale “sono considerati residenti, salvo prova contraria, i cittadini italiani cancellati dalle anagrafi nazionali ed emigrati in stati aventi un regime fiscale agevolato, individuati con decreto del ministro delle finanze da pubblicare nella Gazzetta ufficiale” – ovviamente sarà onere del contribuente dimostrare che in Italia non si ha né una residenza né un domicilio fiscale.

La regola dei 183 giorni

Il vero problema del trasferimento all’estero si potrebbe avere nell’anno in cui un soggetto si trasferisce all’estero e questo perché il soggetto in questione potrebbe aver prodotto dei redditi in Italia nel corso di quell’anno solare.

In questi casi si applica la regola dei 183 giorni. Tale regola stabilisce che:  se una persona è residente in Italia (o comunque è iscritta nell’anagrafe italiana) per la maggior parte del periodo imposta, che corrisponde ad un periodo superiore a 183 giorni (o a 184 per gli anni bisestili), è obbligata a pagare le imposte in Italia, sempre se in quell’anno vengono prodotto redditi in Italia.

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